La videosorveglianza garantisce la sicurezza di luoghi e persone non solo durante il giorno, ma soprattutto di notte, proprio quando i reati sono più frequenti. Per ottenere una visione impeccabile anche nell’oscurità servono ottiche di qualità, abbinate a tecnologie all’avanguardia.
Un sistema di videosorveglianza è efficace quando garantisce immagini di qualità – perfettamente bilanciate e ricche di dettagli nell’arco delle 24 ore – non solo di giorno ma soprattutto di notte, quando furti, vandalismi e altre azioni criminose sono più frequenti e richiedono strumenti e soluzioni in grado di contrastarle in maniera efficace. Quasi tutte le telecamere, sia esterne che interne, professionali e consumer, sono di tipo “day&night”, ovvero sono dotate di sensori ad alta sensibilità, illuminatori IR integrati e tecnologie ad hoc che garantiscono riprese di buona qualità a prescindere dalle condizioni ambientali di illuminazione.
Non tutte le telecamere “day&night”, però, forniscono le stesse prestazioni: le differenze, a volte anche abissali, dipendono dalla qualità dell’ottica e del sensore, dalle tecnologie implementate e dall’esperienza dell’installatore nello scegliere il prodotto più idoneo in base al posizionamento e all’area da inquadrare.
L’importanza del sensore e dell’obiettivo
L’obiettivo e il sensore sono gli elementi da cui partire per ottenere immagini di alta qualità H24. Sono infatti i primi due anelli di una lunga “catena”, che trasforma le immagini in segnali elettrici e digitali, li elabora e analizza. Elementi di scarsa qualità producono prestazioni mediocri, che peggiorano al calare della luce e rendono inutili gli interventi successivi di analisi video. Ottiche e sensori di alta qualità – come quelli proposti dalle telecamere dei brand più noti – rappresentano invece una garanzia non solo in termini di prestazioni, ma anche di affidabilità.
Quando possibile, la scelta deve ricadere su telecamere con sensori di grandi dimensioni (diagonale calcolata in frazioni di pollici – per esempio, 2/3”, 1/3”), che solitamente sono in grado di catturare più luce, e su prodotti con la più bassa apertura (F) possibile. Questo valore indica la luminosità dell’obiettivo in termini inversamente proporzionali: minore è F, maggiore sarà la luce catturata dall’obiettivo e trasferita al sensore per generare immagini al buio più nitide e meno rumorose. Dal momento che i sensori d’immagine montati sulle telecamere ad altissima definizione (come i dispositivi Ultra HD 4K) possono avere fino a 10- 12 milioni di pixel (circa 5-6 volte di più rispetto alle camere Full HD), a parità di dimensioni del sensore la sensibilità è inferiore e richiede quindi più luce.
Anche la gamma dinamica, ovvero la capacità del sensore di catturare sia le aree chiare che quelle scure di un’inquadratura, è teoricamente più critica nelle telecamere ad altissima definizione. Per risolvere il problema si utilizzano ormai sensori più grandi, che grazie a soluzioni sofisticate (come la retroilluminazione del sensore) sono più luminosi e capaci di catturare le immagini anche in condizioni critiche di illuminazione. In secondo luogo, sono state messe a punto tecnologie che compensano i differenti livelli di luce della scena, con l’obiettivo di evitare abbagliamenti, “bruciature” o sottoesposizioni, migliorare la visualizzazione dei colori, ridurre il rumore e ottenere una gamma dinamica elevata. Ciò non toglie che, quando è possibile fare a meno di immagini ad altissima risoluzione, il Full HD si conferma ancora una volta la scelta più equilibrata in termini di costi e prestazioni, soprattutto nelle riprese notturne.
Lenti sferiche o asferiche?
Le lenti sferiche impiegate nelle telecamere economiche possono generare aberrazioni e sfocature, ancora più evidenti nelle riprese notturne. Le lenti asferiche presenti sui modelli di fascia media e alta permettono invece di processare la luce da differenti punti sulla superficie e di focalizzarla in modo più preciso, così da mantenere la più alta luminosità e definizione possibili prima della gestione da parte del sensore. Le singole lenti, inoltre, introducono un’inevitabile attenuazione al passaggio della luce, visibile e infrarossa, che può essere ridotta con l’applicazione di un trattamento antiriflesso (< 3%) o con l’adozione di lenti multistrato antiriflesso (< 0,5%) e antinebbia.
Oltre a incrementare la luminosità, queste due soluzioni evitano la temporanea opacizzazione causata da fonti umide fredde o calde, così come i fastidiosi abbagliamenti e aloni che si manifestano quando la telecamera riprende sorgenti luminose (per esempio, lampioni stradali o fari di automezzi). I sensori di ultima generazione catturano immagini di buona qualità anche con pochissimi lux (indicativamente 0,06-0,08 per le riprese a colori, 0,01-0,03 per quelle in bianco e nero). Quando la luce si riduce ulteriormente, nelle telecamere “day&night” entrano in gioco due importanti aiuti: il filtro IR Cut e l’illuminatore integrato.
Come funziona il filtro IR Cut
Il filtro IR Cut serve a “eliminare”, durante il solo funzionamento diurno, le componenti IR presenti nella luce solare e artificiale (lunghezza d’onda da 400 a 700 nm) che possono falsare i colori delle immagini, renderle innaturali e buie. Può essere di tipo elettronico (ICF o Infrared Cut Filter) oppure meccanico (ICR o Infrared Cut-Filter Removable); nel primo caso si tratta di un’elaborazione dell’immagine a livello del chipset che governa il sensore, mentre nel secondo caso di una vera e propria lente posizionata tra l’obiettivo e il sensore, controllata da un attuatore elettrico o elettromeccanico.
All’imbrunire, un sensore di luminosità posizionato nelle vicinanze dell’obiettivo rileva la riduzione della luce sotto la soglia prestabilita e rimuove il filtro. Ciò permette al sensore d’immagine di catturare tutte le componenti dello spettro, incluse quelle oltre i 700 nm (IR): diventa così possibile “vedere” al buio la riflessione della luce IR emessa dall’illuminatore, pur se solo in bianco e nero (la luce infrarossa non contiene alcun colore visibile dall’occhio umano). Il filtro IR Cut non serve quindi a migliorare le riprese notturne, bensì a garantire prestazioni ottimali con qualsiasi condizione di luce. Il filtro ICR meccanico ha prestazioni migliori di quello ICF elettronico perché, come spiegato sopra, agisce “a monte” (a livello dell’ottica) e non “a valle” (durante l’elaborazione dell’immagine).
Illuminatore IR tradizionale oppure “array”
Le prime generazioni di illuminatori IR a Led utilizzavano (e utilizzano tuttora) decine di Led posizionati in cerchio intorno all’obiettivo. Ormai da tempo sono disponibili anche gli illuminatori “array”, che sfruttano speciali chip dotati di Led multipli a elevate prestazioni.
I Led IR tradizionali hanno una potenza unitaria nell’ordine dei 15 mW (0,015 W), una vita stimata di circa 1200 ore ed emettono luce infrarossa con un’apertura di soli 30-50°, capace di illuminare soggetti distanti un metro. Gli illuminatori IR composti da 20-30 Led di questo tipo possono arrivare a coprire una distanza massima teorica di 20-30 metri, concentrando però l’illuminazione nella parte centrale dell’immagine. Nella pratica, la distanza può ridursi anche del 30-50% per cause varie (scarsa qualità dei Led e loro invecchiamento, caduta di tensione causata dalla lunghezza dei cablaggi di piccola sezione, trasparenza dell’aria, riflessioni ecc.).
I Led array sono molto più potenti (fino a 30 W per Led), longevi (10.000 ore) e hanno una maggiore apertura (fino a 180°) con il risultato che le immagini appaiono più dettagliate, definite e illuminate in modo uniforme. Le telecamere con illuminatore Led IR array sono indicate per le riprese di aree molto ampie, per nulla o scarsamente illuminate da altre sorgenti (per esempio, lampioni). I dispositivi con illuminatore Led IR tradizionale sono invece idonei per il monitoraggio di piccole aree come uffici, magazzini, box e cortili fino a 50-70 m2.
Alcune telecamere adottano anche sistemi intelligenti (Smart IR e Advanced IR) che migliorano la qualità delle riprese al buio perché facilitano l’identificazione degli elementi chiave della scena. Grazie a speciali algoritmi, il chip che controlla l’illuminatore modula la potenza di emissione dei Led IR evitando di “bruciare” i primi piani, ovvero di renderli troppo luminosi, e di illuminare troppo poco gli oggetti più distanti. Questo adattamento intelligente rende così riconoscibili i volti dei soggetti oppure le targhe delle auto che transitano nell’area di ripresa, sia da lontano sia da vicino.
La lunghezza d’onda dei Led IR
Tutti i Led IR emettono luce nel campo dell’infrarosso ma con lunghezze d’onda leggermente differenti, indicativamente tra gli 840-850 nm e i 930-950 nm. Quelli con lunghezze d’onda inferiori emettono una lieve luminescenza rossastra percepibile dall’occhio umano: può essere un vantaggio, ovvero un deterrente per i malintenzionati, oppure uno svantaggio qualora non si voglia far capire che la telecamera è presente e accesa.
Per rendere invisibile un Led IR è necessario che la lunghezza d’onda della luce emessa sia il più distante possibile dalla luce visibile, per esempio oltre i 900 nm. Gli illuminatori con Led IR da 930-950 nm risultano quindi invisibili all’occhio umano ma presentano uno svantaggio: quanto più aumenta il gap con la lunghezza d’onda della luce visibile, tanto più si riducono il potere di illuminazione la portata e il dettaglio delle immagini. In sostanza i Led IR fanno meno luce dei Led cosiddetti “visibili”.
Illuminatori esterni per grandi aree a “zero lux”
Quando gli ambienti da monitorare sono molto ampi e privi di illuminazione, è improbabile che l’illuminatore integrato, anche se potente e di tipo array, risulti sufficiente a rischiarare l’area e a percepire gli oggetti e le persone presenti. In questi casi servono illuminatori esterni, posizionati in luoghi strategici e protetti da eventuali tentativi di sabotaggio. Solitamente gli illuminatori esterni adottano gli stessi componenti e tecnologie di quelli integrati, ovvero Led tradizionali o array, un sensore di luminosità che ne consente l’attivazione sotto la soglia di pochi lux (5 o 10, talvolta regolabile) e uno chassis impermeabile (per esempio, IP67) per l’installazione in esterno senza ulteriori protezioni. Quello che cambia è il maggior numero di Led che lo chassis può ospitare, da un minimo di 60-100 fino a oltre 300 (10-20 per gli array) per una portata teorica fino a 300 metri.
Segreti e vantaggi della tecnologia Starlight
Alcune telecamere di alta gamma impiegano la tecnologia Starlight per offrire riprese dettagliate e a colori anche quando il livello di illuminazione scende sotto la soglia degli 0,01 lux. Questa tecnologia viene applicata principalmente ai sensori d’immagine e ai circuiti di elaborazione del segnale, ma richiede anche ottiche più avanzate e performanti che fanno inevitabilmente lievitare i costi di produzione.
I sensori Starlight adottano una matrice di pixel che, avendo dimensioni ultra-miniaturizzate (fino a 1,85 μm) e inversamente proporzionali al loro numero (crescente in base alla risoluzione della matrice – 2 MP, 4 MP, 8 MP ecc.), necessita di un espediente tecnico per catturare più luce. Nei sensori tradizionali, i componenti elettronici come gli amplificatori di segnale e i convertitori analogico/digitali (A/D) sono posizionati sulla stessa superficie che cattura la luce, limitando quindi lo spazio utile. Per aggirare questa limitazione, si adotta la tecnica della retroilluminazione grazie alla quale i componenti e le piste di collegamento vengono spostati sul lato inferiore del sensore, lo strato dei fotodiodi si avvicina a quello delle lenti on-chip e dei filtri colore RGB, riducendo così il percorso compiuto dalla luce.
Nei sensori retroilluminati l’area fotosensibile viene così sfruttata quasi totalmente e, grazie anche alla vicinanza alle lenti, può catturare molta più luce. Per supportare la tecnologia Starlight, i sensori retroilluminati vengono tarati per catturare più efficacemente le lunghezze d’onda adiacenti all’infrarosso (> 700 nm), incrementando così la sensibilità nelle riprese notturne rispetto ai sensori tradizionali.